Sergio Focardi—Esiste la “Fusione Fredda” ? (1994)

  • Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena

    Esiste la “Fusione Fredda” ?

    Cesena, 29 Aprile 1994


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    [00:14] [...] prima dell’inizio di questa conferenza il professor Focardi per la disponibilità che ha dato ad intervenire in questo argomento, che è un argomento di larga attualità e di prospettive future sconosciute altamente interessanti. Il professor Focardi noi lo dobbiamo ringraziare anche per altre cose: per gli importanti lavori che sta portando avanti in Italia con due colleghi ricercatori sempre sull’argomento della fusione fredda, e soprattutto perché è preside della facoltà di Informatica di Cesena, che ne parlavamo poc’anzi, è la seconda facoltà di scienze dell’Università di Bologna come numero di frequenze.


    [01:18] Questo senz’altro va ad onore al professor Focardi, al suo lavoro che svolge all’interno dell’Università e soprattutto al rigoroso metodo scientifico che porta nella stessa, avendone anche una grossa considerazione personale. Io faccio tanti auguri al professor Focardi e lo ringrazio ulteriormente per la disponibilità che ha avuto su invito della Fondazione della Cassa di Risparmio ad intrattenere la cittadinanza su questo tema.


    [Applausi]


    [02:02] [Focardi] Sono io, presidente, che devo ringraziare Lei e la fondazione Cassa di Risparmio per la sensibilità che è stata sempre dimostrata nei riguardi delle istituzioni universitarie e anche in questa occasione per avermi fatto l’invito che io ho accettato ben volentieri perché sarà una sfida abbastanza difficile. Essendo un invito aperto alla cittadinanza—anche se vedo poi molti studenti che conosco, ma non sono certamente i partecipanti esclusivi—ho dovuto prepararlo ad un livello che mantenga il rigore scientifico ma che sia possibilmente di larga comprensione, quindi un livello che è abbastanza difficile da mandare avanti.


    [02:52] Dico questo non per giustificarmi, ma proprio per ringraziare di avermi offerto questa sfida dato che ormai da molti anni i lavori facili non mi piacciono più e se non sono sufficientemente difficili non mi riesco a coinvolgere. Questo lo è, e vediamo come oggi riuscirò a cavarmela con queste difficoltà.


    [...]


    [03:45] Io comincerò con un discorso preso un po’ alla lontana che parla dell’energia. Ma con questo non vorrò dimostrare che quello che noi stiamo vedendo sia sicuramente una certa forma di energia—quindi vi pregherei di non volere fare alla fine una specie di cortocircuito fra il discorso iniziale e quello finale e farmi dire cose che non ho in mente di dire—ma io credo che il discorso sull’energia sia abbastanza importante perché forse permetterà di capire anche la situazione psicologica in cui tutta la storia si è svolta in questi ultimi anni.


    [04:28] Sulla lavagna adesso si può vedere proiettato un grafico nel quale sono riportare le fonte primarie dell’energia alcuni anni fa, a livello mondiale. Le cose non sono sicuramente cambiate—questa situazione vale anche oggi—e si vede subito, guardando questo grafico, dove ho trascurato le fonti meno importanti, che pure esistono (ho messo solo quelle più importanti), che se si esclude l’energia idroelettrica, che rappresenta il 7% del totale, tutte le altre fonti di energia sono fonti che hanno a che fare con trasformazioni della materia dallo stato iniziale negli stati finali in cui viene trasformata attraverso processi o di combustione o di rottura delle strutture elementari.


    [05:24] Quindi, diciamo, questa è un po’ la situazione dalla quale per esempio si può vedere immediatamente che se—ripeto—si esclude l’idroelettrico, l’energia si può ottenere essenzialmente in due modi diversi, l’energia che noi poi normalmente utilizziamo, l’elettrica tipicamente e tutte le altre forme: o partendo dal petrolio, dal carbone e dal gas e bruciandoli, oppure partendo da composti—tipicamente l’uranio—e facendo avvenire reazioni nucleari. Sono due tipi di trasformazione che passano comunque attraverso la strada della combustione: c’è un passo termico in mezzo.


    [06:12] E tutte queste forme di energia hanno i loro inconvenienti, nel senso che tutte le volte che uno trasforma questi prodotti primari nelle forme finali ci sono i residui della trasformazione che in qualche modo creano problemi—poi accennerò di corsa qualche esempio, eventualmente—per cui produrre energia trasformando la materia iniziale è un processo che comunque può provocare sempre o rischi immediati o inconvenienti. Esempio: se uno brucia il petrolio—il risultato della combustione, che è una reazione chimica nella quale intervengono forze elettriche che trasformano il carbone per esempio in anidride carbonica—il risultato della reazione che avviene è la produzione di anidride carbonica, che immessa in atmosfera è responsabile di quello che oggi è temuto da tutti, che è l’effetto serra, cioè un rischio di alterazioni della temperatura del pianeta con tutte le possibili conseguenze.


    [07:21] Così se uno usa l’uranio nei reattori il problema è che i prodotti di disintegrazione dell’uranio sono prodotto radioattivi che per di più hanno lunga vita media e naturalmente bisogna collocarli da qualche parte dove non siano pericolosi, sperando che nelle centinaia di anni a venire non si creino degli eventi che rimettono in circolo queste scorie.


    [07:45] Quindi tutte queste forme di energia sono forme che hanno una forte dose di pericolo. E non c’è differenza fra l’una e l’altra: non esiste a tutt’oggi una forma di energia che si assolutamente pulita e innocua. D’altra parte noi abbiamo bisogno dell’energia, perché se noi… forse noi non ce ne rendiamo conto, e non ce ne rendiamo conto perché normalmente abbiamo tante cose a cui pensare—io ormai sono convinto che per rendersi conto delle cose bisogna almeno per qualche minuto concentrarsi di questi, pensare alle cose. Noi siamo una società, oggi, che siamo fortemente dipendenti dall’energia. Forse non ce ne rendiamo conto. Allora, come facciamo a rendercene conto? Beh, si potrebbe fare un po’ di numeretti, calcoletti—ma io ovviamente avevo preso l’impegno di cercare di non usare mai numeri, mai formule, anche per non essere immediatamente antipatico all’Auditorio—e allora ho provato a [..] presentare la cosa in un modo diverso.


    [08:47] Supponiamo che per magia, anzi meglio per maleficio più che per magia, di colpo tutto queste fonti sparissero, qualcuno ce le ha fatte sparire. Noi ci troveremmo di colpo senza l’energia. Allora che fare? Beh una soluzione uno la può immediatamente pensare. Se ci manca l’energia prodotta dalla combustione di tutti questi oggetti, usiamo l’energia umana o l’energia animale, come si faceva nel medioevo. Bene, se uno fa il calcolo per esempio in energia umana, cioè pensa agli schiavi—ovviamente non pensate che io sia uno schiavista, sto facendo un paradosso—e dice: vabbè, quanti schiavi [occorrerebbero] a ciascuno di noi per mantenere il livello di vita attuale?


    [09:35] Se per un cittadino Italiano medio—il che vuol dire poi ci sono quelli che ne avrebbero bisogno di più, e altri di meno—ci vorrebbero… leggo perché non lo ricordo esattamente, 125 schiavi a testa. Cioè ciascuno di noi dovrebbe avere 125 schiavi in media che lavorano esclusivamente per il padrone. Ma sarebbe una cosa folle. La cittadinanza passerebbe da 60 milioni a 700 milioni. Gli schiavi dovrebbero essere veri schiavi, cioè non pretendere a loro volta il nostro livello di vita che richiederebbe 100 schiavi per ciascuno di loro, altrimenti le cose non funzionerebbero. Quindi una cosa drammatica, perché l’energia che noi consumiamo non è solo quella del nostro contatore, ma è l’energia per fabbricare i vestiti, le scarpe, i cibi, le automobili, per mandare le automobili, tutto, per vedere la televisione…


    [10:27] Quindi in realtà noi siamo una società fortemente dipendente dall’energia, e se l’energia finisce le cose si mettono seriamente. Io non vorrei adesso entrare nel discorso [di] quando finirà, se finirà, se mai succederà questo, ma chiaramente quelle scorte non sono illimitate. Credo che pensando di consumare tutto il consumabile oggi abbiamo riserve di quel tipo lì per 120–150 anni, ma non prendete questo numero molto con serietà perché non ho fatto calcoli recenti. E forse una società responsabile dovrebbe cominciare a pensare di quello che succederà fra 150 anni e mettere in atto tutto quello che può oggi fare per pensare ai nostri successori. Cioè non possiamo usare la famosa frase “après moi le déluge”, no? Questo non mi sembra responsabile.


    [11:23] Ora, vorrei fare notare una cosa: che fra le energie di origine chimica, combustibili, e l’energia di origine nucleare c’è una grande differenza che sicuramente ha significato anche a livello dell’impatto ambientale, ed è questa: che a parità di energia prodotta, per ottenere lo stesso risultato, occorre consumare un milione di materiale in più—se si usa la forma chimica della combustione—rispetto al nucleare. Voglio dire che si può ottenere la stessa energia con un grammo di uranio o con una tonnellata di carbone o di petrolio. Questo implica problemi di trasporta, implica problemi di smaltimento, implica problemi di scorie, ma c’è questa grande differenza di un fattore un milione che è secondo me importante anche ai fini dell’impatto ambientale. Non voglio adesso qui prendere le difese di una forma o dell’altra di energia: ho detto che tutte hanno i loro rischi e i loro pericoli, e il discorso energetico è veramente molto complicato perché oltre a queste considerazioni di tipo scientifico ci sono quelle economiche che pure hanno importanza e che devono essere valutate. Credo che non esista nessuna persona al mondo che sia in grado di trattare tutto il problema dell’energia dall’inizio alla fine.


    [12:46] Beh, io credo che molte di queste cose che ho detto siano note, ovviamente, alle persone. Ma mi sembra importante ribadire questo. Io sono convinto che l’energia non vada sprecata, perché sprecare l’energia—tenere accesa una lampada in una stanza in cui non c’è nessuno—è come prendere uno di quei famosi schiavi immaginari e farlo lavorare inutilmente perché non serve a nulla. Quindi c’è una grossa responsabilità della nostra società da questo punto di vista, perché ogni energia che viene sprecata è inquinamento inutile che riversiamo sul pianeta.


    [13:23] Ma adesso mi sposto verso il nucleare, perché il discorso di questa conferenza alla fine va a finire in qualche modo su possibili forme di energia di origine nucleare. Nel campo del nucleare ci sono due modi per ottenere energia dalla materia, che sono il modo per fissione—fissione forse è un vocabolo tecnico, credo, io ormai sono abituato a usarlo: vuol dire rompere—che vuol dire prendere nuclei pesanti, tipicamente l’uranio o il plutonio o il torio, spaccarli, costruire dei nuclei intermedi e estrarre energia in questo processo. Nuclei che poi sono radioattivi e pongono i problemi. E questa energia ormai la si utilizza: quella fetta che vediamo nel grafico viene dai reattori per fissione. I reattori per fissione hanno un certo loro pericolo intrinseco: tutti purtroppo ricordano l’incidente recente di Chernobyl. E poi la fissione è legata a episodi tragici della storia dell’umanità: le bombe scagliate su Hiroshima, su Nagasaki. E questo è un vizio originale che questa forma di energia conserva con sé. Ma ci sono obiettivamente i rischi delle scorie, soprattutto, a mio parere.


    [14:41] E poi l’altra possibilità è l’energia per fusione: cioè prendere i nuclei leggeri, l’idrogeno—poi farò vedere anche un’altra immagine dove cercherò in maniera semplici di cercare di rappresentare cosa intendiamo con l’idrogeno. Chiedo scusa a quelli che sanno benissimo di cosa sto parlando—dove si prendono nuclei leggeri, si fondono insieme e si produce ancora una volta energia. Bene, questa seconda operazione la sa fare il sole, la sanno fare le stelle—poi cercherò di spiegare perché questi sole e stelle sanno fare questo—sole e stelle partono dall’idrogeno e poi, come macchine complicate, costruiscono l’elio, poi costruiscono l’ossigeno, poi costruiscono il carbonio, costruiscono per fusioni successive tutti gli elementi di cui siamo fatti. Noi, la nostra pelle, la nostra carne, siamo fatti di carbonio, ossigeno, fosforo, zol… azoto—zolfo no, ce ne sarà poco—calcio: tutti elementi che sono stati fabbricati in una stella remota che non è il nostro sole, è una stella che esisteva prima, e che probabilmente, quando è diventata supernova, esplodendo e producendo gli elementi oltre il ferro, secondo me stava nella zona dove poi si è formata la nebula dalla quale poi si è riformato il sistema solare, quindi la nostra origine remota, le nostre radici sono nelle stelle, e sono nelle reazioni nucleari da fusione, da cui tutta la materia è stata fatta.


    [16:13] Le stelle ci riescono. E gli uomini? Riusciamo a fare la fusione artificiale? Perché fare la fusione artificiale vorrebbe dire avere come combustibile l’idrogeno e i suoi elementi simili di cui parlerò fra un momento. Vorrebbe dire avere a disposizione un combustibile illimitato, e qui mi riallaccio al discorso precedente di quanto dureranno i combustibili attuali. Beh, noi stiamo… “noi”, insomma, la comunità scientifica sta lavorando su questo. In questo momento la macchina più avanzata è una macchina Inglese, Europea, il JET, che si fa in Inghilterra. È partito adesso il progetto ITER—non so il significato dell’acronimo—ma ITER è una macchina mondiale, in collaborazione fra Europa, Stati Uniti, Giappone, Russia. Non è stato ancora deciso dove si farà la macchina; è chiaro che ci saranno risse terribili fra gli Stati per questo.


    [17:12] Nel [...] terminerà la prima fase. Penso che nel 2002–2003 il progetto, poi la costruzione nel 2010, forse la macchina diventerà funzionante nel 2020–2030, ma a quel punto avremo la fusione, l’energia da fusione? Oggi gli esperti dicono fra 40–50 anni, quindi io mi riferisco, mi rifaccio agli esperti. Ma il problema centrale a mio parere è questo: certamente si raggiungerà la fusione, io credo, si dimostrerà la fattibilità. Ma quando si passerà a costruire il reattore per fusione saranno problemi gravissimi: perché la radioattività dei processi danneggerà le pareti del reattore in un mese. E allora uno si pone il problema di costruire una macchina—una macchina di una centrale, ovviamente—e dopo un mese che fa? Smonta il reattore. Questa è follia, credo. Ma ammettiamo pure che la follia abbia il sopravvento: chi va a smontare il reattore? Gli uomini? Certo no: morirebbero. I robot? Morirebbero anche i robot dalla radioattività delle pareti. Quindi in realtà il problema—sicuramente solubile per via scientifica—avrà grandi difficoltà tecnologiche. Per cui se io oggi dovessi scommettere—posso anche perdere la scommessa perché tanto alla fine, quando si saprà la risposta non pagherei ovviamente: nel 2040 il problema per me non si porrà più—io scommetterei che non avremo mai l’energia per fusione, mai. A meno che i risultati scientifici non ci facciano aprire nuove strade—e con questo non sto dicendo che non dobbiamo fare queste ricerche: sono importantissime queste ricerche—dalle quali avremo nuove idee.


    [18:53] E poi le macchine per fusione non sono così tranquille e innocue come spesso si dice, non è vero. Perché ci sarà la radioattività dei prodotti della fusione e soprattutto c’è un altro grosso problema. Uno dei combustibili di queste macchine nei progetti attuali è il trizio, che è un idrogeno pesante, e il trizio è radioattivo. E se scappa il trizio dalla centrale va in giro per il mondo e va a sostituire l’idrogeno dappertutto, e quindi anche nei cibi, e la gente se lo mangia. Quindi, una centrale a funzione non è un oggetto molto... così tranquillo. Ha i suoi rischi, il che non vuol dire che non li dobbiamo correre i rischi, perché i rischi sono dappertutto: non c’è nulla senza rischio nella vita.


    [19:39] Ora questo è un po’ il panorama della situazione di oggi, ma lo era anche 4–5 anni fa. 4–5 anni fa quando alla vigilia della Pasqua del 1989—io ricordo molto bene la data, il periodo, credo che fosse il Mercoledì… il Giovedì Santo o il giorno prima—due scienziati americani, Fleischmann e Pons, con una conferenza stampa improvvisa, senza avere prima precedentemente pubblicato il lavoro né fatto conferenze scientifiche—questo è un errore che loro commisero—annunciarono di avere prodotto fusione nucleare in un metallo a temperatura normale. Questo è un risultato incredibile per le conoscenze che noi abbiamo e adesso cercherò di spiegare il perché: perché e cosa vuol dire fusione, e perché è incredibile un risultato del genere; poi ritornerò nella storia di Fleischmann e Pons.


    [20:44] Tutti sanno che l’atomo è un sistema che più o meno sembra un sistema solare, solo molto piccolo: ci vogliono 100 milioni di atomi messi in fila per fare un centimetro, questo da’ un’idea delle dimensioni. Se uno adesso potesse ingrandire un atomo e farlo diventare grande come un campo di calcio vedrebbe che il nucleo, che è la parte centrale, ha le dimensioni di una capocchia da spillo e sta, diciamo, nel centro del campo, e gli elettroni ancora più piccoli vagano lungo i bordi, la linea di fondocampo, il fallo laterale, lì nella zona. Quindi in realtà l’atomo è un oggetto vuoto, dove il vuoto predomina sulla materia e dove gli spazi sono immensi.


    [21:29] E gli elettroni e nucleo stanno insieme perché il nucleo è positivo, gli elettroni sono negativi; cariche di segno contrario si attirano e stanno insieme. Chiedo scusa se ogni tanto un po’ di fisica elementare sono costretto a introdurla nel discorso. Supponiamo ora che un altro atomo, un invasore, arrivi addosso a questo: un altro campo di calcio che arriva sul campo di calcio. Allora nascono interazioni fra gli elettroni e gli elettroni, fra il nucleo invasore e gli elettroni invasi, e questi avvengono anche a distanza: sono sono scontri veri e propri nei quali gli elettroni hanno la peggio, perché gli elettroni sono 2000 volte più leggeri dei nuclei. È come se avvenisse uno scontro fra un passante e un pulcino: il rapporto di massa è lo stesso; il pulcino viene spazzato via, il passante non se ne accorge.


    [22:19] Quindi i nuclei invasori spazzano via gli elettroni, li mandano via; questi, poveretti, assistono solo allo spettacolo, se spettacolo ci sarà, e viaggiano in linea retta.


    [salto]


    [...] chiedo scusa ai tanti presenti che conoscono queste cose, ma per correttezza verso chi potesse non conoscere devo dirlo—è il nucleo più semplice: un protone e un elettrone, niente più semplice dell’idrogeno. Il deuterio è una specie di fratello più grande, più grasso: ha lo stesso nucleo, salvo che c’è un neutrone in più; la stessa carica ma massa doppia. Il trizio è il fratello maggiore della famiglia. Ma dal punto di vista chimico tutti e tre si comportano come idrogeni, perché la chimica dipende dagli elettroni esterni. Altri personaggi di questa storia—e poi molti altri non ne citerò più—sono l’elio. L’elio è l’elemento successivo della tavola di Mendeleev, perché ha due protoni e carica due—quindi due elettroni per avere la neutralizzazione della carica—ed esistono due elii: l’elio con massa 4 e l’elio con massa 3.


    [23:29] Quindi quando nei prossimi minuti parlerò di idrogeno, di deuterio, di trizio, parlo di elementi e oggetti molto semplici: sono i famosi “campi di calcio” una volta ingranditi, fatti in questo modo, con un nucleo fatto così. Ovviamente devo rappresentare le cose con modelli semplici.


    [23:47] Bene, Fleischmann e Pons che cosa facevano? Usavano deuterio e palladio. Facevano elettrolisi con elettrodo di palladio usando materiali deuterati, e vedevano apparire dell’energia, ma questa energia andava, veniva, non era stabile, non riuscivano a riprodurla, hanno sempre nella loro... nei loro 5 anni—perché hanno continuato a lavorare; oggi tra l’altro hanno grossi finanziamenti Giapponesi: lavorano in Francia, finanziati dal Giappone, perché il Giappone ha fatto grossi investimenti su questa linea—quando sono arrivati ad avere molto di energia sono arrivati ad avere 1 watt, il che vuol dire accendere una lampadina dell’albero di Natale. Ma non è che ottengono 1 watt fisso. 1 watt che va, che viene, che non si sa bene quando va e quando viene.


    [24:31] E poi i famosi ricercatori, quelli “mordi e fuggi”, facendo questi esperimenti, chi ha trovato i neutroni, chi non ha trovato i neutroni… perché se ci sono reazioni nucleari poi avvengono combinazioni di tutti quegli elementi del prodotto finale. E questo sicuramente ha confuso le idee a molti: c’è chi trova una cosa, chi non la trova, chi poi si smentisce… perché molti sono arrivati da altre linee di ricerca; in pochi mesi hanno pensato di fare, di ottenere qualcosa di serio, e questo non si può fare. Questo ha fatto sì che questo gruppo di ricercatori è una specie di gruppo di “reietti” rispetto alla comunità scientifica internazionale. Sono quasi all’indice, sono malconsiderati, a mezza strada fra lo stregone e il ciarlatano, e questa è la realtà. Per la comunità scientifica internazionale non si può parlare di fusione fredda.


    [25:26] Con gli amici di Cesena, dovendo essere in un luogo cittadino, ho detto “mettiamo benissimo la parola fusione fredda, non possiamo usare parole le complicate che utilizziamo noi”. Per intenderci va bene, ma non a livello scientifico. Quindi questa è stata la linea di Fleischmann e Pons, e adesso faccio un salto di 10 mesi e vado all’Ottobre del 1989: siamo a Trento, congresso scientifico. Io mi trovo in un corridoio dove c’erano i lavori del congresso che parlavo con Roberto Habel, professore a Cagliari—con il quale siamo legati da lunga amicizia—si avvicina un nostro comune amico, Francesco Piantelli di Siena e ci dice: “vi devo parlare”.

  • [26:06] Va bene. Stavamo parlando non so di che cosa; introduciamo Piantelli nella nostra conversazione. E Piantelli ci racconta “mi è successa una cosa molto strana”—nell’Estate credo gli fosse successa—dice: “io stavo lavorando a 100 gradi sotto zero”, quindi al freddo lavorava, con un materiale organico, biologico—lui si occupa di biofisica; so anche cosa sono, anche se non so… sono gangliosidi: tutte le volte che vedo Piantelli me lo ripete, perché io dimentico anche il nome. So solo che hanno a che fare con il cervello, i gangliosidi—”e lavoravo con questi materiali arricchiti di deuterio quando a un certo punto il sistema è impazzito, non riusciva più a stare in temperatura”.


    [26:49] Allora lui legava questo fenomeno che aveva visto a quello che dicevano Fleischmann e Pons, che avevano detto. Lui diceva: “probabilmente è un effetto simile a Fleischmann e Pons”. Io gli dissi subito “guarda, non ci credo Francesco: è inutile che ne parliamo”. Gli espressi la mia incredulità. Habel pure non era credente di queste cose. Ma insomma Piantelli dice “andiamo a cena insieme, discutiamo” e non ci mollava più. E a forza di parlare ci convinse. Ci convinse di ripetere l’esperimento suo per cercare di vedere che cosa effettivamente era successo.


    [27:25] Io devo dire che accettai per gioco nella cosa. Mi faceva piacere solo una cosa: che Piantelli avendo questa cosa—poteva essere importante—avesse scelto me e Habel: voleva dire che lui aveva fiducia in noi su due piani che io ritengo estremamente importanti; il secondo più del primo. Uno che si fidava che potessimo essere persone in grado di dargli un aiuto in quello che lui voleva fare, ma l’altro che si fidava di persone che non gli avrebbero mai rubato l’idea, perché è “pericoloso” raccontare ad altri la propria idea. Io di questo sarò sempre grato a Piantelli e riconoscente, che ha avuto nei miei riguardi questa stima—che io peraltro contraccambio.


    [28:05] E comincia il gioco, un hobby, uno strano gioco in cui ci riuniamo ma non molto frequentemente, cominciamo ad analizzare l’esperimento di Piantelli; cosa c’era? Ma c’erano i gangliosidi, c’era il nickel su cui erano appoggiati i gangliosidi, c’era il deuterio. Che cosa può essere? Noi cominciamo a discutere alla lunga e alla fine diciamo “probabilmente i responsabili sono il nickel e il deuterio”, tenendo conto di quello che dicevano Fleischmann e Pons. Per ripetere l’esperimento di Piantelli cosa dobbiamo fare? Dobbiamo ripreparare un campione di nickel mettendoci dentro il deuterio, per rivedere l’effetto, e poi per andare a 100 gradi sotto zero e ripetere l’esperimento.


    [28:47] Allora progettiamo un apparato. Tutto si svolge con la massima economia: l’esperimento non è ufficiale, non esiste... nessuno sa di questo esperimento. A Siena in realtà lo sanno, i colleghi di Piantelli. Però Siena è un piccolo dipartimento, perché non c’è il corso di Laurea in Fisica. Piantelli è una persona di grande intelligenza, di grande fantasia, ma è sempre vissuto in una sede un po’ isolata e forse le sue idee non le ha mai portate a termine come voleva, quindi non ha credito presso i suoi colleghi. Piantelli è un “matto” secondo i suoi colleghi, e il fatto che io e Habel cominciamo ad apparire a Siena non è che rivaluta Piantelli, dà due “matti” aggiunti al locale: questi sono tre “matti” che lavorano su questo problema; quindi io per lunghi mesi ho fatto la figura del “matto” e ne ero consapevole.


    [29:36] Ma questa è stata la nostra salvezza, perché nessuno credeva a quello che stavamo facendo, eravamo dei “pazzi”. Infatti adesso che l’Università di Siena, riconosciuto il lavoro di Piantelli, gli ha dato un giusto spazio, dove glielo ha dato? All’ex manicomio, che adesso non esiste più. Dove, mi sembra, che lui si possa collocare giustamente [ride]. Ovviamente scherziamo sempre fra noi, perché il lavoro è anche pesante.


    [30:00] Bene, insieme a Pianelli cominciamo questa operazione: caricare l’idrogeno, il deuterio nel nickel. Costruiamo un piccolo… una scatoletta, mettiamo il nickel, cominciamo a fare prove, prove molto empiriche. E scopriamo che quando il nickel è verso i 300–400 gradi, assorbe notevolmente l’idrogeno. Questa è una cosa non nota nella letteratura scientifica, come poi abbiamo scoperto—ma noi siamo partiti da empiristi in questo lavoro—

    l’abbiamo scoperto successivamente, parlando con gli esperti della fusione fredda nazionale che han detto “ma questo non risulta a nessuno che succede”, eppure succede. Eh, ma dice “i libri non lo dicono” e Roberto Habel giustamente ha detto “ma noi non li avevamo letti”. Per nostra fortuna nemmeno il nickel aveva letto i libri e le cose hanno funzionato; perché la letteratura scientifica è difficile da trovare e a volte non è completa.


    [31:00] E a forza di fare queste operazioni, caricare il nickel, con che cosa? Beh, avremmo dovuto usare il deuterio, ma siccome il deuterio costa troppo ed è il “fratello” dell’idrogeno, abbiamo detto “ci mettiamo l’idrogeno”. Costa meno, costa poco e funziona lo stesso. Abbiamo cominciato a caricare il nickel con l’idrogeno, scoprendo questa zona. E le cose sono avanti così—se volevamo, molto lentamente—fino al 14 Gennaio del 1993. Questa è un’altra data che io non dimentico perché io quella sera ero a Milano, a dormire in albergo— ero in una commissione di concorso a Milano—alle 5:30 del mattino suona il telefono.


    [31:45] Prendo il telefono e sento una voce che dice “sono Francesco Piantelli, è successa una cosa incredibile”. La mia risposta è “ma tu come fai a sapere che sono qua?”. Lui mi dice “ho già chiamato a casa tua”, quindi ci aveva svegliati tutti. 5:30 del mattino. E mi dice “ieri sera, mettendo l’idrogeno, di colpo la temperatura del nickel è salita di 30, 40, 50 gradi”—non lo sapeva nemmeno più: era ancora spaventato alle 5:30 del mattino—io mi sono preso paura, allora dico “beh, cosa hai fatto?” e dice “ho fatto il vuoto e il sistema è ritornato tranquillo”. Allora io gli ho detto “stai attento, non farlo più: perché se ci sono i neutroni, se c’è una reazione nucleare ci sono i neutroni, sei rovinato. Aspetta, metteremo i contatori per neutroni”.


    [32:27] Quindi, questa data improvvisamente è una svolta nei nostri lavori perché a questo punto l’esperimento di Piantelli [di] ritornare a 100 gradi sotto zero col deuterio non ha più senso, perché noi scopriamo che l’idrogeno a 400 gradi nel nickel fa queste cose. Ed è molto più conveniente lavorare a 400 gradi che non a −100 gradi, perché a 400 gradi se c’è energia la si può tirar fuori; a −100 gradi è solo un gioco. E l’idrogeno è molto più facile del deuterio—oltretutto l’idrogeno contiene un po’ di deuterio e questo secondo noi è la causa di quello che abbiamo visto.


    [33:04] Allora a questo punto il nostro esperimento è cambiato completamente e ci dedichiamo a studiare ora cosa fa l’idrogeno nel nickel. Ma tutto questo continua ad avvenire in una specie di “carboneria”, perché noi non chiediamo fondi per la ricerca. Prima non li potevamo chiedere perché era un gioco; adesso non li possiamo più chiedere perché c’è dietro il problema dei brevetti e se uno vuole i fondi per la ricerca deve dire cosa vuol fare, e allora è ovvio che lo sanno tutti. Quindi l’esperimento continua nella assoluta clandestinità a parte la figura dei tre “matti” che abbiamo fatto con gli amici di Siena.


    [33:41] Io adesso vorrei mostrare lo schema dell’apparato. Ovviamente non posso andare molto nel dettaglio, ma questo è molto semplice. Questo è la figura che abbiamo poi pubblicato sulla rivista scientifica; si vede la camera, quel rettangolo; al centro c’è il nickel e intorno al nickel c’è la spirale che lo scalda, perché per scaldare il nickel noi dobbiamo metterci un riscaldatore, una specie di fornello elettrico. Poi in questa camera possiamo mettere l’idrogeno o il deuterio—ma da un certo punto in poi lavoriamo solo idrogeno—e mettiamo dentro l’idrogeno e a un certo punto dopo [...]


    [salto]


    [...] certo numero di caricamenti, la temperatura del nickel di colpo salta su, di 40 gradi la prima volta, poi di altri 40 gradi e così via di seguito.


    [34:31] E quindi ci troviamo in una condizione in cui a parità di energia messa dentro, la temperatura improvvisamente per questi effetti cresce, e questo vuol dire che qualcun altro mette energia, altrimento non è comprensibile come avvenga questa crescita. Nella sostanza l’idea è questa: se noi abbiamo un recipiente e in questo recipiente scaldiamo la parte interna, via via che questa si scalda aumenta l’uscita di energia verso l’esterno. Quando l’energia che esce è uguale a quelle immessa, la temperatura si stabilizza. Quindi le nostre misure sono misure estremamente semplici, perché noi misuriamo la corrente elettrica, una tensione elettrica e un paio di temperature, una pressione. Cioè tutta roba a livello… così, insomma. Qualsiasi persona, insomma.


    [35:26] Va bene, noi abbiamo costruito l’apparato in un certo modo, ma poi le misure sono banali. Poi alla fine c’è un calcolatore che registra, che fa tutto, e così via di seguito. E tutta questa operazione è durata l’intero 1993 con più camere, con più campioni, ripetendo l’esperimento, ritrovando gli stessi risultati e arrivando in certe situazioni in cui la differenza di energia fra quello che noi mettevamo dentro e quello che veniva fuori arrivava a una cinquantina di watt. Siamo arrivati anche a 57 watt, che è l’energia di una lampada elettrica. Quindi siamo passati dalla lampadina dell’albero di Natale di Fleischmann e Pons alla lampada elettrica.


    [36:11] Ma inoltre i nostri risultati sono riproducibili: noi siamo in grado di accendere—scusate la parola ma credo che si capisca quello che voglio dire—innescare il fenomeno, di disinnescarlo, di controllarlo, di aumentare l’energia; non siamo mai arrivati oltre i 50 watt, i 57 watt e non ne sappiamo bene il perché. A questo punto nasce il problema: ma da dove viene questa energia, chi è che ci gratifica in questo modo? La cosa più semplice è pensare alla chimica: c’è il nickel, c’è l’idrogeno; ci sarà una reazione fra il nickel e l’idrogeno: l’idruro di nickel. Ma se uno fa il calcolo si accorge che l’energia chimica non è sufficiente. Non è sufficiente perché manca un fattore almeno 1000: ci sarebbero volute una tonnellata di nickel o qualcosa del genere per avere quell’energia, quindi la chimica non può spiegare cosa stiamo vedendo.


    [37:00] E allora che cos’è? È forse la fusione fredda di Fleischmann e Pons? Ma “fusione fredda” è diventata una parolaccia in fisica: non si può pronunciare. Giustamente, perché la scienza non può marciare per esclusione: deve dimostrare le cose e noi siamo persone che dobbiamo tenere il rigore scientifico. Ma ormai abbiamo il risultato, non possiamo più tenerlo noi; siamo oramai alla fine del 1993: decidiamo di scrivere in lavoro scientifico, di corsa, una lettera rapida—di cui questa è una delle figure—la presentiamo a una rivista internazionale di fisica Italiana, che stampa in Italia, Il Nuovo Cimento, che tendenzialmente non accetta lavori di questo tipo perché la comunità scientifica considera al margine questi personaggi.


    [37:44] Siamo entrati improvvisamente al margine, cioè da persone stimate da molti, improvvisamente diventiamo persone un po’ da cui diffidare—ma è un rischio che abbiamo dovuto correre—però la rivista ce lo accetta di colpo, il lavoro. E il lavoro va in stampa. Ma nel frattempo succede un altro fenomeno: le riviste scientifiche serie non pubblicano il lavoro sulla base di chi l’ha presentato, ma lo fanno vedere ad altri per avere le critiche i pareri. Quindi questo lavoro è andato in giro da qualcuno, e qualcuno di questi l’ha passato all’amico, e l’amico all’amico, e succede una cosa del genere: che noi ci accorgiamo che gli addetti ai lavori Italiani lo sanno. Lo sanno perché cominciano a telefonare a Piantelli, a Siene, a chiede strane informazioni: “posso venire a vedere quello che stai facendo?”, “posso fare…?”.


    [38:37] E Piantelli, che non sa dire di no alle persone, però ha una certa dose di freddo umorismo, cosa fa? Gli dice di sì. Tra l’altro Piantelli lavorava in una stanzetta che sarà stata poco più grande di questo tavolo, messa in modo diverso; adesso ha il “manicomio” e lo spazio ce l’ha, ma prima non ce l’aveva. In questa stanzetta piccola Piantelli introduce cose strane, per esempio un impulsatore ad alta frequenza, deliberatamente, in un angolo. E questi visitatori li osserva che con la coda dell’occhio guardano questo oggetto e non hanno il coraggio di chiederglielo, magari. E poi telefonano a me o a Habel e dice “ma che cos’è quello strano impulsatore che ho visto…?” e noi a dirgli “ma non serve a niente”, ma loro non ci credono: “in una stanza così piccola perché mai uno tiene un impulsatore?”.


    [39:28] Poi a un certo punto abbiamo avuto bisogno di un compressore e lui lascia il compressore, deliberatamente. Io a un certo punto gli ho detto “mettici anche un gatto nero con la bacchetta di bachelite, almeno qualcuno penserà che siamo superstiziosi o non superstiziosi e che usiamo l’elettrostatica per strofinio, perché...”. Quindi nascono questi strani giochi, ma noi sappiamo che oramai tutti sanno, perché si parlano, perché cercano di capire. E allora a un certo punto ci rendiamo punto che bisogna fare il passo successivo. Abbiamo già fatto il primo importante: la rivista scientifica, ma non basta: ci vuole una presentazione scientifica agli addetti ai lavori


    [40:04] E allora facciamo una conferenza a invito, ristretta, il 14 Febbraio, a Siena. E vengono tutti: il mail, la posta elettronica, il fax, tutto, e rapidamente in pochi giorni arrivano a Siena tutti gli esperti Italiani, e noi raccontiamo a loro quello che abbiamo fatto, ma loro in gran parte lo sanno perché hanno visto il lavoro, anche se non sanno certe cose. I miei amici mi nominano speaker ufficiale, probabilmente perché me la so cavare più di loro di fronte a certe possibili domande, non lo so. Insomma alla fine io volevo che parlasse Piantelli; Piantelli non se la sentiva e alla fine ho parlato io. Quindi io sono diventato lo speaker ufficiale del gruppo. Però prima concordiamo tutto.


    [40:46] E qui la riunione è interessantissima, perché nascono discussioni trasversali fra i presenti, fra di loro; ci danno consigli addirittura, non critiche—noi aspettavamo critiche—ci dicono “ma perché non mettete un termometro esterno e non andate a vedere che cosa fa la temperatura esterna?”, perché lì qualcuno può dire che possono succedere cose sui termometri, e gli abbiamo detto: “lo stiamo già preparando”.


    [41:10] E altri ci dicono: “ma perché non prendete il gas, lo analizzate e andate a vedere se c’è l’elio-3?”. Perché se c’è reazione nucleari, nella nostra ipotesi c’è da essere l’elio-3. Fra l’altro, devo dire, che durante questi processi, noi abbiamo verificato la radioattività attorno, se esisteva radioattività attorno alla camera, e non c’è radioattività né di neutroni, né di gamma. Ovviamente, per nostra sicurezza. Piantelli sarebbe morto sicuramente se ci fosse stata radioattività con tutte le prove che aveva fatto.


    [41:43] E poi ho saputo alla conferenza stampa che anche il Rettore, che abitava al piano di sotto, è stato felice di questo. Forse anche per questo ha mandato via l’inquilino pericoloso [ride]. E poi c’è il problema dei colleghi, delle persone dell’Istituto insomma… bisognava… quindi abbiamo fatto le cose seriamente, anche se da “clandestini”. Quindi non c’è radioattività, forse perché la reazione è elio-3 più energia elettromagnetica, e quindi non ci sono i neutroni—perché se i neutroni ci sono vengono fuori.


    [42:13] Quindi da questi amici, colleghi, raccogliamo suggerimenti ma possiamo dire “lo stiamo già facendo”. Questi il 14 Febbraio. Il 15 di Febbraio c’è una conferenza a Roma fatta da un teorico Italiano: Giuliano Preparata di Milano, un teorico della fusione fredda. Una persona simpaticissima che però affronta i problemi come se andasse alle crociate: se trova un avversario che non crede alla fusione fredda, lo sconfigge, lo attacca. Quando io alla conferenza ho detto che non credevo alla fusione fredda mi ha guardato, così, e ha detto “come? Non credeva alla fusione fredda?”, e non ci credevo, abbi pazienza.


    [42:52] Ma mi trattava come… mancava poco che mi insultasse per questo mio errore, “peccato originale”. Lui va a Roma a fare un seminario sullo stesso argomento e naturalmente racconta a tutti i nostri risultati, che li ha imparati 24 ore prima a Siena. A Roma è presente una giornalista di Repubblica, la quale avvisa Prazzico, che è l’editorialista scientifico, della notizia. Prazzico comincia a girare per Roma, Frascati, La Casaccia, perché crede che noi stiamo facendo qualcosa a Roma, non so: ha sospettato che stiamo facendo ricerche sui centri romani.


    [43:27] Noi sappiamo che Prazzico fa questo; cerchiamo di fermarlo, cercando di offrirgli qualcosa in cambio. Ma sappiamo già che nessuno lo ferma: il giornalista unico in Italia che ha la notizia non lo ferma nessuno, sappiamo che Repubblica uscirà. E allora a questo punto convochiamo per il Sabato successivo, il 19 di Febbraio, una conferenza stampa a Siena. La conferenza stampa però viene dopo l’articolo di Repubblica che esce titolando “la bomba di Siena” e praticamente raccontando tutto quello che noi avevamo detto il giorno prima e quello che era scritto sulle cose.


    [44:00] A questo punto il discorso va a livello generale. Però a questo punto noi abbiamo fatto le cose in regola, perché abbiamo prima la comunicazione alla rivista scientifica, poi il convegno ristretto agli addetti ai lavori, poi parliamo con la stampa, e a questo punto possiamo anche dire alla stampa, che non è in grado di entrare nei dettagli tecnici [...]


    [salto]


    [44:24] [...] questa l’ho raccolta in un altro grafico che ho intitolato “Siena 4”—non è il nome di un taxi, è la quarta camera di Siena—che è completamente diversa dalle precedenti. Io adesso non vorrei andare nei dettagli ma c’è sempre il nickel—quell’oggetto verde con l’idrogeno—ma questa volta il termometro è di fuori. C’è il riscaldatore esterno, ma il termometro è di fuori. E poi, qui in basso a destra forse si vede [...], c’è un termometro esterno che misura la temperatura esterna del sistema.


    [45:02] Bene, questo termometro esterno, quando si è riverificato l’effetto in questa camera—che fin’ora non è stato molto elevato e non abbiamo ancora capito il perché—è andato su di temperatura di 1.6 °C la prima volta, 2 °C la seconda volta. Questo è un termometro in aria: non sa che noi stiamo trafficando con l’idrogeno, con il nickel; lui ignora quello che noi facciamo, lui misura la temperatura esterna. E se la temperatura esterna cresce vuol dire che c’è dell’energia in più che esce dall’interno. Questa è una novità che noi abbiamo messo insieme nel frattempo, a mio avviso molto importante, perché… perché elimina certi sospetti di persone che pensavano che potessero essere effetti di termometri e cose del genere; per cui oggi noi possiamo dire “c’è energia che viene dall’interno”, questo lo possiamo dire.


    [45:54] Possiamo dire che quest’energia non è di tipo chimico perché non basta la chimica a spiegare le quantità di energia che noi vediamo. E allora è un’energia di altra forma. Quale altra forma? Beh, se uno deve pensare alle forme note, c’è solo la possibilità che sia nucleare, anche se uno non capisce come succeda, dove… chi è che dà all’idrogeno o al deuterio quest’enorme energia che hanno bisogno di fondere, che nelle stelle trovano facilmente, perché c’è la temperatura, ma qui non c’è.


    [46:27] Ma qui è chiaro che queste cose noi non le sappiamo. Se però c’è produzione di energia ci deve essere qualche cosa, su questo non ci sono dubbi; non ci sentiamo di dire che non vale più il principio di conservazione dell’energia. Questo è impensabile. E quindi adesso a noi rimane il problema di provare che c’è energia, se nucleare, di tipo nucleare. Non c’è dubbio che se è nucleare lo proveremo, perché ci basta trovare l’elio-3—che è il prodotto che ci aspettiamo—per avere le prove, perché l’elio-3 è un gas rarissimo: è un milione di volte più raro dell’elio-4 che a sua volta è raro. L’elio-3 costa un milione [di lire] al litro—tra l’altro questa sarebbe una macchina per fabbricare l’elio-3 se questo funzionasse.


    [47:10] Quindi abbiamo la strategia per fare queste prove, che faremo. Cosa è successo ancora nel frattempo? Beh, questo è Siena 4 che viene dopo le conferenze stampa. A Cagliari è già entrata in funzione una camera, che ormai la chiamiamo Cagliari 1, se no non capiamo più nulla alla fine. A Bologna, stiamo iniziando la costruzione di una camera, anche a Bologna; a Siena, nel “manicomio”, ne partiranno presti altri 3 o 4; quindi stiamo allargando le strutture in modo tale da sperimentare su molti apparati, perché queste misure sono misure lunghe: richiedono tempo.


    [47:49] E allora è chiaro che se uno ha più apparati può fare molte misure, se uno ne ha pochi, ne può fare poche. Bisogna provare tutto: bisogna provare se le cose funzionano o no col deuterio, con miscele idrogeno e deuterio, altri metalli—abbiamo dei sospetti su altri metalli—e poi cercare di aumentare la potenza. Riusciremo ad aumentare la potenza? E questo non lo so in questo momento. Noi stiamo già preparando—a Siena sempre, il nostro punto di forza—una macchina analoga a questa che se va, dovrebbe produrre un kilowatt, quindi siamo ormai al livello di una buona stufa. Ma non sappiamo ancora, perché conosciamo troppo poco di questo sistema.


    [48:33] Alcuni giorni fa un giornalista—non mi ricordo più nemmeno di quale giornale—parlando e chiedendo di queste cose a un certo punto mi ha detto: “ma allora Lei che cosa dice di questa cosa? Cosa ne pensa?” e dico “Guardi, qui dobbiamo mettere dei “se”. Se l’energia è di tipo nucleare, e noi non abbiamo le prove—e [se] non abbiamo le prove non possiamo chiamarla fusione fredda, sennò ci ammazzano i colleghi—se si riuscirà a produrre su scala più grande allora la cosa sarà un grosso risultato per la fisica e per le applicazioni”.


    [49:10] Allora lui mi ha detto “Ma professore, questo allora forse è la scoperta del secolo”. Io, certamente, mancando di modestia gli ho detto “dica pure la scoperta dell’Umanità. Perché qui non viene fuori radiazione e perché non c’è assolutamente nessun inquinamento e perché la sorgente è illimitata, quindi se dovesse succedere tutto questo certamente avremo ottenuto un risultato che resta nella storia dell’Umanità”.


    [49:37] Allora questo giornalista mi ha posto una domanda che io non mi ero mai fatto e mi ha detto “ma dice, Lei come si è sentito il giorno dopo?”. Io ho pensato [a] come mi sono sentito il giorno dopo. Gli ho detto “io mi sono sentito esattamente come il giorno prima”. E lui dice “ma come? Dice, Lei fa la scoperta dell’Umanità e si sente esattamente il giorno dopo come il giorno prima o due giorni prima.”


    [49:58] Eh, il giornalista aveva ragione. E io gli ho detto “ma guardi, forse qui ci dobbiamo capire. Io non è che lavoro per il bene dell’Umanità. Io lavoro perché mi diverto. Se io non mi divertissi, non lavorerei; io in fondo sono un egoista, non mi prenda per un benefattore”. Vi ringrazio della cortese attenzione.


    [Applausi]

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  • L'importante è divertirsi.


    1994 (https://youtu.be/1yvRbxGZb5w?t=2991)


    Quote

    [49:58] [Focardi] Eh, il giornalista aveva ragione. E io gli ho detto “ma guardi, forse qui ci dobbiamo capire. Io non è che lavoro per il bene dell’Umanità. Io lavoro perché mi diverto. Se io non mi divertissi, non lavorerei; io in fondo sono un egoista, non mi prenda per un benefattore”. Vi ringrazio della cortese attenzione.


    2011 (https://youtu.be/J65maznCyiM?t=633)


    Quote

    [10:05] [Krivit] I have no more questions, so now the last question I have for you is: what other questions should I ask that I didn't ask, and what else would you like to say?

    [Rossi] Ok, allora: lui ha finito le sue domande e ti ha chiesto se secondo te deve farti qualche altra—no?—che non ti ha fatto, e se tu hai qualcosa da dire.

    [Focardi] No, l'unica cosa che ho da dire è che mi sono divertito molto!

    [Rossi] The only thing that he wants to say is that he's getting a lot of fun.

    [Krivit] Thank you for you time, professor.

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